Passioni in Terre d’Africa

Passioni in Terre d’Africa – di Clara Sestilli (*)

Pierre Rabhi
Pierre Rabhi

Di recente su Rai Radio 3 ho seguito due (per me) significative trasmissioni che parlavano di altrettante passioni di due personalità africane che hanno segnato la storia dell’Algeria e del Marocco, con ripercussioni in Francia e nel mondo occidentale. Un algerino (del quale avevo letto il suo “Manifesto per la terra e per l’uomo”) e una donna marocchina, che da semplici cittadini sono divenuti i portavoce del saper fare, saper creare autonomie, saper costruire individualmente e collettivamente il proprio destino. Dalla loro voce ho ascoltato il racconto di ciò che hanno vissuto e creato.

Pierre Rabhi nasce nel 1938 in un’oasi, da genitori musulmani, e viene affidato a una coppia cristiana perché possa studiare e avere assistenza, ma a 19 anni lascia l’Algeria e l’insegnamento cristiano per cercare altrove risposta alle domande sulla vita e il mondo. Va a Parigi, interrompe gli studi e entra in fabbrica come operaio specializzato, ma presto se ne allontana, colpito dalla disumanizzazione del lavoro. Si sposa e si sposta in campagna, nell’Ardèche , dove inizia a scoprire che anche sulla terra la mano dell’uomo ha perpetrato misfatti, bruciato elementi vitali, minato la fertilità, omologato produzioni senza rispetto per la grande, necessaria biodiversità naturale. E inizia a studiare come porre rimedio. Fonda l’agroecologia “affinché la storia dell’uomo possa conciliarsi con gli imperativi stabiliti dalla Natura fin dalle sue origini ” e promuove l’organizzazione di gruppi di coltivatori biodinamici sulla scorta degli insegnamenti Steineriani. Torna nel Sahel dove trova siccità, desolazione e fame, e rilancia la sua appassionata insurrezione delle coscienze per riprendere in mano il proprio destino e fondare comunità (oasi) di buone pratiche agricole e umane, “perché coltivare un orto è un atto legittimo di resistenza a una logica di monopolio fondata su criteri strettamente lucrativi e aleatori”.

E connota in modo particolare il suo intervento con un appello: “Se per invertire il corso drammatico delle cose è indispensabile comprendere il mondo così come lo abbiamo costruito politicamente, economicamente e socialmente, allora è necessario anche rivisitare la dimensione soggettiva e poetica che esiste in noi. Prima di essere cambiato il mondo non ha forse bisogno di ritrovare l’incanto? Non abbiamo forse bisogno di amarlo e contemplarlo per recuperare l’energia necessaria per prendercene cura? E’ questo amore profondo per ciò che chiamo <la sinfonia della terra> che, al di là delle analisi allarmanti sui disastri attuali e futuri, mi spinge a lavorare per mettere in piedi delle soluzioni.” Tornato in Francia, dal suo rifugio scrive: “Qui, nel cuore delle Cevenne…ogni giorno il mio stupore e la mia gratitudine nei confronti della natura si rinnovano…io sono intensamente felice di poter ascoltare i richiami dei rapaci e degli uccelli notturni, a volte così strani e simili alla voce umana…..ogni giorno il mio stupore e la mia gratitudine nei confronti della natura si rinnovano….all’ora precoce dell’alba, quando la luce precede all’orizzonte la stella che la genera, nel periodo in cui il disco lunare è nella sua fase di pienezza, c’è un momento in cui quest’ultimo sembra come attardarsi, ancora sospeso nel blu del cielo. La presenza simultanea dell’astro incandescente che emerge dal limbo della notte, del pianeta spento e del pianeta vivente che ci ospita, è un momento privilegiato e molto istruttivo. Mette in evidenza la configurazione cosmica nella quale la nostra realtà si inscrive in modo più tangibile. Questo scatena una liberazione dello spirito, e contemporaneamente una gioia profonda e silenziosa” (1).

Dall’inizio della sua avventura sono cresciute nel mondo, di numero e qualità, comunità che producono benessere, socialità, economie sane, come gli ecovillaggi. Da noi, nel Parco Agricolo Sud, alcune cascine multifunzionali, perdute nella piana lombarda, capisaldi lungo sentieri sterrati e rogge, tra risaie e pioppeti, nell’assordante gracidio delle rane, si incaricano di farci riprendere contatto con la natura e il lato umano della convivenza.

106-20-20-04-argan2L’altra trasmissione riportava l’esperienza delle donne berbere del Sud del Marocco nella raccolta e lavorazione dell’argan, un frutto antico dal quale si ricava un olio usato come medicamento e nella cosmesi, un lavoro svolto quasi esclusivamente dalle donne, faticoso perché si svolgeva a terra o da seduti, penoso per le spine e la durezza dei noccioli nel trattamento di frantumazione, e raramente riconosciuto e valorizzato. Poco dopo la metà del secolo scorso è stato avviato un processo di tipo sindacale con la creazione di cooperative, che ha ridefinito il ruolo femminile delle lavoratrici con l’introduzione del salario e di orari di lavoro, aiutando a uscire dall’isolamento e dall’indigenza. Con il tempo l’esperienza si è allargata ad altre comunità femminili con la nascita di nuove cooperative. Un successo di imprenditoria femminile e un esempio di coraggio e sana convivenza con l’ambiente e le creature intorno a noi.

 

Qualche dato economico sulla produzione di ArganL’albero, endemico in Marocco, è oggetto di grande attenzione anche dal punto di vista economico: la sua produzione infatti dà sostegno a 400.000 famiglie e occupa una superficie di circa 870mila ettari, ripartiti su diverse zone nel sud del paese, che tuttavia diminuiscono di 600 ha. all’anno a causa dello stress idrico e dell’urbanizzazione. La produzione di olio di argan (stime 2012), si attesterebbe sulle 4 mila tonnellate l’anno, delle quali solo 400, con un controvalore di 125 milioni di dirham (oltre 11 milioni di euro), destinate all’esportazione. Ma l’effettivo valore del prodotto esportato arriverebbe al 70% della produzione totale, in quanto una grossa parte delle esportazioni viene effettuata sotto l’appellativo di “oli vegetali”. Qualunque sia la sua destinazione, essa rimane importante per le popolazioni del sud del Paese, ed è per questo che una legge, datata ben 1925, riconosce agli abitanti installati nelle zone interessate dei diritti d’uso specifici (raccolta del frutto, pascolo delle mandrie, raccolta del legno morto, ecc).Il Ministero di tutela, attraverso l’Agenzia nazionale per lo sviluppo delle zone delle oasi e dell’argania (ANDZOA), e l’Alto commissariato alle acque e foreste, si sono impegnati nella protezione e nell’incoraggiamento della coltura, per migliorarne la produzione e per lottare contro la desertificazione attraverso uno specifico programma per aumentare la densità degli alberi, governare lo sviluppo territoriale e la conservazione delle acque e potenziare la ricerca: ad Agadir dovrebbe operare il Centro Nazionale di Ricerca sull’Argania, che il Governo considera un asse privilegiato del programma, poiché questa produzione può costituire un importante vettore di sviluppo ad alto valore aggiunto.

 (*) Mondohonline

(1)  Da ” Manifesto per la terra e per l’uomo “,  2011 add editore, Torino.

Per il testo originale del manifesto link: https://mondohonline.wordpress.com/2014/04/18/manifesto-per-la-terra-e-per-luomo/

 

 

 

 

 

Pubblicato da Daniela Mainardi

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